Formazione
12 Giu 2012

La crisi crea opportunità per i giovani laureati

La crisi che sta colpendo gran parte dell’Europa e gli USA è radicata nel modello industriale ancora dominante in questi paesi. La necessità di riconversione da parte di migliaia di aziende sta creando eccellenti opportunità lavorative ai giovani laureati in economia ed ingegneria che hanno capito che i “vecchi mestieri” non daranno più alcuna garanzia di rapido inserimento nel mondo del lavoro e di carriera.

 La crisi dei mercati finanziari: un allarme sulla debolezza delle economie occidentali
Che cosa ci stanno dicendo, in estrema sintesi, i mercati finanziari nelle ultime settimane? Per chi conosce da vicino la realtà industriale, il messaggio è chiaro ed inequivocabile: “voi, paesi occidentali, non siete più un buon investimento; non ci fidiamo più di voi perché le vostre economie sono deboli e hanno prospettive incerte per il futuro. Non state creando sufficiente “valore”. I costi del vostro welfare sono alti mentre la competitività delle vostre imprese è in calo”. In altre parole ci stanno dicendo che “stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità”, ovvero che “la ricchezza che stiamo producendo è inferiore a quella che stiamo consumando”. I segnali della nostra decadenza industriale erano già evidenti da alcuni anni ma una serie di fattori speculativi (finanziari ed immobiliari) ci avevano illuso di poter ignorare il problema.
Il modello perdente
In queste settimane, agli occhi di quasi tutti gli osservati attenti, risulta invece chiaro che l’attuale modello di sviluppo occidentale rischia di creare soltanto squilibri ed un crescente impoverimento della classe media. La ”produzione di massa intercontinentale”, ovvero produrre grandi quantità di prodotti poco differenziati e con scarsa flessibilità in fabbriche a basso costo del lavoro collocate a migliaia di chilometri dai consumatori finali, non è una strategia sostenibile nel lungo periodo. I nostri paesi rischiano la deindustrializzazione con conseguente perdita di benessere nella società, sotto forma di posti di lavoro e di relativi salari ma anche di professionalità, reti di fornitura basate sulle PMI e servizi professionali a supporto delle imprese. L’idea di poter convertire rapidamente le aziende manifatturiere in centri di “alta competenza” specializzati in attività immateriali (ricerca, marketing, finanza, logistica, ecc.) si è dimostrata un’illusione a causa dei lunghi tempi di riqualificazione del personale già occupato e della scarsa efficienza e flessibilità di queste organizzazioni.

Il nuovo paradigma
I paesi economicamente forti hanno necessità di mantenere al loro interno un’ampia varietà di attività economiche (manifatturiere e di servizi): la iper-specializzazione (settoriale o di ruolo) espone maggiormente alle crisi cicliche. E’ nata quindi l’esigenza di competere nuovamente con i paesi a basso costo del lavoro sul manifatturiero per interrompere “l’emorragia” di fabbriche dai nostri territori. Proprio nei paesi con altissimi costi del lavoro si è quindi sviluppato un nuovo modello organizzativo e strategico, denominato “Produzione Snella”.  La sua applicazione permette di accorciare la catena della fornitura per:

  • essere più tempestivi nelle consegne di piccoli ordini;
  • eliminare i magazzini di merce invenduta e tutte le altre forme di spreco;
  • abbattere l’immobilizzazione finanziaria non produttiva;
  • innovare continuamente i prodotti per adattarli alle mutevoli esigenze del mercato ed all’evoluzione tecnologica;
  • e – non ultimo – ridurre l’inutile spreco di energia e altre risorse non rinnovabili del pianeta.

La terza rivoluzione industriale
Grazie alla diffusione della “Produzione Snella” si sta configurando una vera e propria rivoluzione industriale, che arriverà a modificare profondamente il tradizionale rapporto delle persone con il lavoro, il suo ritmo, la concezione dello spazio produttivo, la micro-organizzazione dei posti di lavoro, la logistica produttiva e soprattutto il sistema delle relazioni e delle comunicazioni interne. Stabilimenti produttivi più piccoli e vicini ai principali centri di consumo, impianti e macchinari di dimensioni più contenute che permettano di produrre solo le quantità richieste dal mercato senza generare sovrapproduzione e spreco di risorse, eliminazione totale dei magazzini e trasporti più frequenti con gittate più corte, sono solo alcuni dei principi che stanno stravolgendo l’impostazione di tipo “fordista” e “taylorista” su cui si è sviluppato il mondo industriale negli ultimi 100 anni.
Il cambiamento è in atto nelle principali realtà industriali occidentali ed anche in Italia, dopo i primi anni di titubanza, la maggioranza delle aziende competitive sta pianificando l’attivazione di un processo di cambiamento verso il nuovo modello o lo ha già avviato.
Si tratta di un processo lungo e faticoso, che necessita di molti anni di duro lavoro prima di poterlo considerare completamente assimilato.