Formazione
19 Nov 2014

Italia un paese per vecchi e per… giovani conservatori

Alcuni giorni or sono ho letto un interessante articolo sulle tendenze in atto nel mercato del lavoro negli USA. Era pubblicato sull’edizione online del South China Morning Post a cui sono arrivato grazie ad una segnalazione su Twitter di Alberto Forchielli un manager  italiano che  da molti anni lavora in Cina ed in India. L’articolo illustrava il fenomeno dello spostamento di massa dei giovani statunitensi, sia in età di scuola media superiore che di università, verso le facoltà scientifiche rispetto a quelle umanistiche e letterarie. Il motivo è semplice: il dinamico mercato del lavoro americano paga molto di più ingegneri, statistici, matematici, informatici ed altri laureati in varie scienze.  Oltre che essere una priorità strategica del governo federale, che ha constatato che gran parte del dinamismo economico di molti paesi orientali era proprio dovuto all’altissima percentuale di laureati in discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), è il mercato stesso del lavoro attraverso la variabile del salario (infinitamente più dinamica che da noi) che sta autonomamente spostando l’offerta di specializzazione.  In realtà però non è di questo che vorrei parlarvi questo mese ma della riflessione che ho fatto subito dopo la lettura: quanti giovani italiani (almeno fra i 24 ed i 32 anni) hanno letto lo stesso articolo o qualcosa di simile? Quanti seguono persone influenti o anche solo molto autorevoli su Twitter o su Linkedin? Quanti dedicano almeno una fettina del loro tempo quotidiano ad integrare o allargare la loro preparazione universitaria, ad esempio sull’uso evoluto dei Social Media (quelli più utili del conosciutissimo ma spesso troppo rivolo Facebook), con l’informatica evoluta (es. linguaggi di programmazione), le lingue straniere più utili per il business, le competenze emotive e relazionali ed altre conoscenze utili ad entrare rapidamente (e dalla porta principale) del mondo del lavoro? E’ verissimo che molti 50-60enni sono stati e sono ancora molto conservatori nella loro visione del business, nello stile delle relazioni professionali e nella disponibilità ad innovare le loro conoscenze professionali, generando così un’economia stagnante ed in netto declino. Ma se i “padri” hanno delle indubbie responsabilità, siamo sicuri che i “figli” siano così tanto diversi e soprattutto disponibili a pagare il “prezzo personale” del cambiamento?

Il Direttore A. Parisi