Nell’ambito del management si sente spesso parlare di Qualità Totale come modello organizzativo e come sistema di gestione della qualità. Di cosa si tratta?
Il modello di Qualità Totale viene da lontano: già dagli anni ’50 venne impiegato in Giappone e, successivamente, negli Stati Uniti. Tale approccio, dopo un’era di dominio industriale incontrastato da parte della catena di montaggio e dell’automazione (meccanica quanto umana), riportava al centro della produzione l’uomo e la sua capacità di produrre qualità e di migliorare.
Sulla base di una responsabilizzazione di ciascun lavoratore, si è spostata l’attenzione (e la competizione) dell’efficienza produttiva dal contenimento dei costi, alla soddisfazione del cliente per un prodotto o un servizio di qualità. Tra i due modelli, la differenza è abissale poiché la qualità totale, almeno contabilmente, i costi li aumenta. Ma è solo un’apparenza.
I costi sostenuti per l’attività di ricerca, miglioramento, sicurezza dell’ambiente, formazione del personale e certificazione dello standard aziendale, però, devono essere valutati con riferimento ai costi potenziali generati da un’assenza di Qualità Totale (spreco di materia prima, scarti, prodotti avariati, danno d’immagine…).
In un modello organizzativo basato sull’approccio della Qualità Totale, al fine di individuare e perseguire questi obiettivi, l’azienda redige un Manuale della Qualità nel quale si descrivono la mission aziendale, le procedure, l’organizzazione e le attività finalizzate al raggiungimento dello standard desiderato.
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